Nella tana delle parole
In laboratorio Il fattore considerato determinante è la struttura dei neuroni. I progressi compiuti grazie alla collaborazione tra la linguistica e la neurobiologia Come si forma il linguaggio? La risposta va cercata nell' architettura del cervello
C' è una domanda che per certi versi costituisce la prima e più radicale questione che l' uomo ha posto sulla natura del linguaggio: la struttura di questo codice è in qualche modo influenzata dalla struttura del mondo o si forma in modo indipendente? Come tutte le grandi domande è facile formularla, meno facile capirne tutte le implicazioni, praticamente impossibile trovare una risposta esauriente; ma la scienza non è scienza se non riconosce il mistero, dunque non è certo questa consapevolezza a fermare il desiderio di conoscere uno dei fenomeni che più ci caratterizza, se non addirittura quello che ci caratterizza totalmente. Per capire quanto complessa sia la questione, basti pensare che certamente il linguaggio è prodotto dal nostro cervello, che è a sua volta parte del mondo, e che dunque, in un certo senso, è scontato dire che il nostro linguaggio è in qualche modo sottoposto alle leggi fisiche e biologiche che permettono lo sviluppo del cervello sia nell' individuo che nella specie. Ma ovviamente ciò che non è affatto scontato è se la struttura del codice, cioè, per esempio, le regole che a partire dalle parole danno le frasi, dipende o meno dalla struttura del cervello. È questa domanda che oggi per certi versi è ritornata ad essere al centro dell' arena, sotto i nuovi e potenti riflettori della linguistica moderna e della neuropsicologia. Certamente nel corso dei secoli la riflessione sul linguaggio ha oscillato più volte tra le due polarizzazioni possibili. Cosa mai può aggiungere la scienza moderna rispetto a questa domanda così ingombrante ma pure così importante? La prima novità è che le nuove risposte possono solo nascere dalla collaborazione tra scienze indipendenti, in questo caso dalla linguistica e dalla neuropsicologia. Oggi possiamo contare su almeno un risultato di forte convergenza tra queste due discipline, nate con metodi e scopi diversi, ormai consolidato. E stato dimostrato, infatti, che la capacità di produrre un numero potenzialmente infinito di frasi a partire da un insieme finito di parole - capacità che possiedono tutti e solo gli esseri umani - dipende in qualche modo dalla struttura del cervello. Non solo: il fatto che tutte le lingue del mondo abbiano un nucleo di regole comuni e che alcuni tipi di regole, pur concepibili a tavolino, non si trovino mai in nessuna lingua non è più visto come un accidente storico o il risultato di una convenzione culturale ma come l' espressione dell' architettura neurobiologica del cervello. Questo risultato, che fornisce nuovi supporti alle intuizioni maturate in seno alla linguistica nella seconda metà del novecento a partire dai lavori di Noam Chomsky, non sarebbe stato neppure immaginabile se non avessimo avuto accesso, sia pure indiretto, ad alcuni aspetti dei meccanismi neuropsicologici come ad esempio quelli misurabili con le tecniche delle neuroimmagini. Ed è proprio dalle neuroimmagini che arrivano due risultati che ripropongono la polarizzazione della quale stiamo parlando in modo inedito e affascinante. Entrambi si basano su una delle scoperte dominanti della fine del secolo scorso: l' esistenza nel cervello delle scimmie di neuroni specchio, cioè una popolazione di neuroni che si attiva sia quando si compie un' azione di tipo motorio secondo una certa intenzione (ad esempio afferrare una mela e portarsela alla bocca) sia quando la si vede (o la si sente) compiere. Questa scoperta, che fa capo al gruppo di ricerca coordinato da Giacomo Rizzolatti ha ormai dati empirici forti a favore dell' ipotesi che un sistema sostanzialmente simile a quello dei neuroni specchio delle scimmie sia presente nell' uomo. Paradossalmente, malgrado il grandissimo interesse, da un certo punto di vista questa scoperta ci lascia, per così dire, equidistanti rispetto al problema generale della natura del linguaggio umano. Da una parte, infatti, si è capito che per comprendere frasi che esprimono azioni come afferro un coltello il cervello attiva una rete che si sovrappone sostanzialmente a quella del sistema dei neuroni specchio degli animali, suggerendo che il linguaggio si possa essere parzialmente evoluto a partire da meccanismi che sono cooptati da sistemi diversi, come appunto quello motorio e che dunque si correli in modo diretto alla struttura del mondo. Dall' altra, proprio un esame dello stesso sistema di neuroni in un recente esperimento sulla comprensione delle frasi negative porta dati nuovi a favore dell' idea che esista invece un residuo del linguaggio che non possa intrinsecamente essere ricondotto a nessuno stimolo del mondo fisico. Si è infatti osservato che quando si interpretano frasi di azione negative del tipo non afferro un coltello il sistema dei neuroni specchio viene parzialmente inibito. Ora, siccome nel mondo non esistono «fatti negativi», questo risultato conduce necessariamente ad ammettere che esistono aspetti centrali del linguaggio - e certamente la negazione, legata alla capacità di giudicare il vero o il falso è centralissima - che non possono essere derivati dalla struttura del mondo. Siamo daccapo; anzi no. Non abbiamo risposto alla domanda centrale sulla relazione tra struttura del mondo e struttura del linguaggio ma siamo riusciti a riformularla secondo prospettive inedite e possiamo ragionevolmente aspettarci che nei prossimi anni la ricerca si concentri proprio su questi temi. Come la tartaruga per Achille, il linguaggio umano sembra inafferrabile nella sua interezza ma, lentamente, con passione, si ha l' impressione che ci si possa avvicinare almeno tanto da riuscire a guardarla negli occhi, la nostra tartaruga.
MORO ANDREA
(29 settembre 2010) - Corriere della Sera
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