Anna Ghezzi mi ha intervistato, il laboratorio era con le seconde elementari, ma il pezzo, anche se tagliato dalla redazione, è un segnale: i genitori non raccontano le fiabe ai loro ragazzi.
«Cappuccetto rosso chi?» In pochi leggono le fiabe |
PAVIA. «Conoscete la storia di Cappuccetto Rosso?» chiede il libraio in prima elementare, aspettandosi il solito coro di sì. E invece no. Silenzio. Ci riprova: «La bella addormentata?». Ancora nulla, però tanti annuiscono timidamente e protestano: «Conosciamo Biancaneve e Pinocchio». Versione Disney, ovviamente. Che fine hanno fatto le storie? E cosa succede quando i bambini invece di sentirsi raccontare le fiabe dai genitori le guardano in tv? Guido Affini, del coordinamento delle librerie per ragazzi e libraio de “Il Delfino”, in queste settimane sta incontrando i ragazzi delle scuole di Vellezzo Bellini per l’iniziativa a “Ottobre piovono libri”. Venerdì sera ha presentato ai genitori nella scuola di Vellezzo un rapporto secondo il quale, a non leggere e raccontare storie, non ci perdono solo i bambini. Ma tutti. «I bambini a cui vengono lette le storie - spiega - imparano a leggere, scrivere e parlare prima di quelli a cui non vengono raccontate». Senza contare gli effetti sull’autostima: «Se si passa del tempo a leggere delle storie a un bambino, anche prima dei tre anni, si crea una base solida per un rapporto futuro. Il bambino sa di poter contare su qualcuno, si crea un bagaglio di autostima.». «Riccioli d’oro, i tre porcellini, Cappuccetto Rosso: sono le fiabe più facilmente comprensibili - continua Affini - quelle che generano aspettative che possono essere comprese anche dai bambini più piccoli, che fino ai due anni faticano a distinguere il prima, il durante e il dopo». Cosa comporta la “visione” delle fiabe, invece dell’ascolto? «Il racconto lascia aperte tutte le possibilità mentre le immagini sono confortevoli, veloci, di facile decifrazione ma non di facile decodificazione: si capisce la storia ma non si va oltre, la visione è passiva. Leggere e ascoltare, invece, richiedono uno sforzo di personificazione che stimola a metterci qualcosa in più, di nostro». (a.gh.) |
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